Età del ferro

Con l’inizio dell’età del Ferro (IX secolo a.C.) l’area padana viene nuovamente popolata da gruppi che si possono già definire Etruschi, in particolare l’area circostante Bologna, dove nell’arco di due secoli sorgerà l’importante città etrusca di Felsina. Da qui partirà una graduale espansione nelle vallate e nella pianura circostante per un maggiore controllo del territorio: in questo contesto nell’area di Castelfranco assistiamo agli inizi dell’VIII secolo alla nascita dell’abitato del Galoppatoio e alla necropoli. L’abitato si trovava in posizione strategica in quanto collocato su un paleodosso, per ripararlo dal rischio di inondazioni dovute ai vicini corsi d’acqua, ed a breve distanza dal tracciato della futura via Emilia, che però già all’epoca doveva essere un’importante pista pedemontana che collegava Felsina ai villaggi vicini.

Durante l’avanzato VI secolo a.C. il popolamento della Pianura Padana si riorganizza nuovamente, su impulso probabilmente della vicina Felsina, e l’abitato del Galoppatoio viene abbandonato in favore della fondazione di nuovi centri strategici, in un’ottica di ristrutturazione delle vie commerciali e di sistemi di approvvigionamento delle materie prime. L’abitato più rilevante in questa fase è costituito dal contesto del Forte Urbano, il cui arco di vita si estende dal V alla metà del IV sec a.C. Gli scavi, condotti fra il 1992 e il 1996 ed ancora nel 2004, hanno messo in luce una parte dell’abitato di forma rettangolare, delimitato da un fossato perimetrale e da un terrapieno attivi per tutta l’esistenza dell’abitato. Lo scavo ha mostrato la presenza di almeno due fasi, una datata alla prima metà del V secolo a.C., ed una seconda, meglio conservata, fino agli inizi del IV sec. a.C. I materiali rinvenuti nel corso dello scavo consentono di descrivere le attività e il tenore di vita degli abitanti.

Età del Ferro – Tomba 43 necropoli “al Galoppatoio”

In questa vetrina è esposto l’eccezionale corredo funebre della tomba 43, la più ricca tra quelle rinvenute nella necropoli del Galoppatoio e databile tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII sec. a.C., che ne fa una delle più recenti all’interno di questa necropoli. Come tutte le altre rinvenute durante gli scavi, si tratta di una tomba ad incinerazione; le ossa del defunto, probabilmente un uomo adulto, erano state accuratamente raccolte all’interno del grande vaso biconico che si staglia al centro della vetrina. L’ansa mancante è probabilmente stata rotta intenzionalmente allo scopo di defunzionalizzare il vaso. La fibula in bronzo del tipo a drago ad arco serpeggiante è tipica delle sepolture maschili di rango elevato in questa necropoli, in particolare occorre notare che la fibula presenti il segno alfabetico greco X inciso sull’arco.

Unica nel panorama della necropoli è la paletta in bronzo, rinvenuta accanto al cinerario e probabilmente usata per scopi connessi al funerale, un ulteriore indizio per indicare il rango elevato del defunto. Ad arricchire ulteriormente il corredo funerario di questa sepoltura eccezionale concorre anche il ricco set da banchetto, rinvenuto completo di  un secondo vaso biconico, purtroppo frammentario, di due piatti, due scodelle più piccole ed un boccale decorato, visibili nel ripiano più alto della vetrina.

Età del Ferro – Aes Signatum

In questa vetrina è esposto il deposito di lingotti metallici ritrovato nel 1897 nella frazione di Riolo, nel podere Cappella, databile tra il VI e V secolo a.C. I lingotti sono composti da rame e ferro, e molti di essi sono contrassegnati da un marchio a forma di “ramo secco”, per questo chiamati “aes signatum”. Nel corso di due distinte analisi è stata evidenziata l’assenza di stagno, indispensabile per realizzare il bronzo. In origine i 59 lingotti, le 21 barre ed i 19 frammenti irregolari di metallo che compongono il deposito vennero ritrovati all’interno di un grande vaso di ceramica, probabilmente un dolio, andato perduto durante le vicende che compresero la vendita dei lingotti a vari musei italiani ed esteri ed il loro recupero da parte della Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna alla fine degli anni ’60 del secolo scorso; per questo motivo in vetrina è presente una sua ricostruzione. È stato ipotizzato che i lingotti siano stati prodotti utilizzando la stessa matrice a due valve in argilla, a causa dei bordi irregolari di alcuni reperti e delle imprecisioni nella forma, segni che indicano l’usura della matrice stessa. Il motivo del ramo secco aveva probabilmente una duplice funzione: oltre a costituire un autentico marchio di fabbrica, esso facilitava lo scorrimento del metallo fuso nella forma di argilla.

Questi lingotti sono oggetto tutt’oggi di un dibattito scientifico che ne riguarda la funzione: in un primo momento si pensò potessero considerarsi una forma di stoccaggio del metallo, agevolato dalle dimensioni compatte. Successivamente si iniziò a considerare questi reperti in un’ottica di mezzi di scambio premonetale, utilizzati a volte anche come offerta simbolica in contesti votivi.

Questo deposito risulta ad oggi il più cospicuo della penisola sia per quanto riguarda il numero totale dei frammenti sia per quelli con il segno del ramo secco.

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