Nel cuore del centro storico di Castelfranco Emilia, all’ombra della chiesa parrocchiale di Santa Maria, sorge questo palazzo signorile, l’ex-canonica, riportato al primitivo splendore grazie alle opere di ristrutturazione intraprese dalla Curia di Bologna e dal Comune.
Palazzo Piella, dal nome della famiglia che lo abitò per oltre un secolo, si configura come uno dei più antichi edifici del paese, esistendo sin dai tempi della fondazione di Borgo Franco avvenuta tra il 1226 e il 1228, anche se certamente l’edificio fu realizzato con caratteristiche e materiali diversi da quelli attuali.
Prestigiose sono le notizie tramandate nel tempo che vedono questa dimora quale tappa occasionale di principi e alti prelati. Nel 1529 e nel 1530 fu teatro di un avvenimento caro alla memoria della comunità paesana: Carlo V, in viaggio per Bologna, dove avrebbe ricevuto la corona di re d’Italia e di imperatore del Sacro Romano Impero da papa Clemente VII, fece tappa nel castello e, come scrive il Muzzi: “giunto Cesare a Castel Franco trovò apparecchiata lautissima mensa per sé, e copiosi preparativi per quelli del suo seguito, e per gli altri in molto numero intervenuti, essendovi parimenti abbondevoli provvigioni per ristorare il suo esercito. Pranzò egli lietamente, come fecero anche i Principi ed i Signori; e poiché furono tutti ristorati, ordinò di proseguire il cammino alla volta di Bologna”.
Si vuole che l’edificio che ospitò il re e il suo seguito fosse proprio il palazzetto sulla Strada Maestra che allora apparteneva ai Gavucci; ma la circostanza, per quanto verosimile essendo questa una delle pochissime dimore prestigiose del borgo, non è documentata. Appare invece attendibile il seguito del racconto secondo cui, dopo l’incoronazione avvenuta in San Petronio il 24 febbraio 1530, Carlo V, ripartito da Bologna il 23 marzo, fece di nuovo tappa a Castelfranco dove intendeva fermarsi a desinare… “e colà trattenersi per tutta la giornata e parte della notte, per istarsene un poco in riposo”. Fu qui, in casa Gavucci, che l’imperatore diede compimento alla promessa fatta ai Cavalieri di San Giovanni Gerosolimitano, estromessi a forza dai Turchi dall’isola di Rodi e senza una stabile dimora, e redasse il diploma con cui donava loro Malta, Gozo e Tripoli: “datum in Castello Franco die XXIII mensis martiis, tertiae indictionis, anno Nativitate Domini MDXXX”. Detti cavalieri diventarono così i Cavalieri di Malta, con il solo tributo di un falcone da regalare al re e ai suoi successori ogni anno a Ognissanti. Nello stesso giorno Carlo V si adoperò affinché i frati Agostiniani, privi di monastero, avessero una sede; e i Castelfranchesi, anche per compiacere la volontà del sovrano, donarono loro una casa che divenne poi la canonica della chiesa di San Giacomo.
Vuole la tradizione, ancorché non confermata da alcuna documentazione, che innanzi la partenza l’illustre ospite passasse in rassegna le proprie truppe affacciandosi da un balcone ringhierato di una casa sulla via Maestra, appunto palazzo Gavucci, come riporta Alessandro Bacchi: “non ha molto che in un angolo della antica casa Piella, ora Canonica, miravasi una ringhiera, dalla quale è tradizione vedesse l’Imperatore sfilare il suo esercito”. Una conferma dell’avvenimento pare giungere anche da quanto scrive lo storico Serafino Calindri: “in casa Piella, già Gavucci, si conserva per memoria un busto di tela e malto di carta pesta nel quale a lato evvi un’aquila con legenda CAROLI V MANUS ANNO 1530 e sotto BARTOLO GAVUCCI; è tradizione che Carlo V in premio di qualche cosa donasse l’aquila al suddetto”.
Un’altra personalità illustre, il cardinale Carlo Borromeo, è ascritta quale ospite di questa dimora. Ancora il Bacchi riferisce che “nell’antica Canonica situata vicino assai alla Chiesa osservavasi non son molti anni una camera ove il Santo Porporato [ossia San Carlo] passò una notte”. Ancora una volta la circostanza non è avvalorata da alcuna fonte, ma la tradizione vuole che il prelato, arcivescovo di Milano e abate commendatario dell’abbazia di Nonantola, sulla strada per Roma, ove doveva partecipare al conclave per eleggere il successore di Pio V, si sia soffermato da queste parti: una lapide all’interno dell’oratorio della Beata Vergine del Rosario alla Rovere Grossa ricorda la messa celebrata il 7 maggio 1572 proprio da San Carlo, mentre un’altra fonte non verificata porrebbe invece la celebrazione nella cappella privata dell’Assunta all’interno della villa Pietramellara. Resta comunque certo che fra il 1566 e il 1583 diversi siano stati i suoi passaggi attraverso queste contrade, per cui acquista credibilità anche la notizia riportata dal Bacchi.
A quell’epoca il palazzo aveva probabilmente pianta quadrata con portico a tre archi (costruito in sostituzione di quello antico in legno), prerogativa di tutti i portici medievali che si affacciavano sulla via Emilia. Documenta la struttura con certezza un disegno della seconda metà del XVI secolo, in cui appare chiaramente l’edificio, accanto alla chiesa di Santa Maria, dotato appunto di tre arcate e non ancora quattro come oggi.
Alla fine del ‘600 o all’inizio del ‘700 l’immobile divenne poi proprietà dei nobili bolognesi Piella e furono loro che ne ampliarono la struttura, dando al palazzo la consistenza attuale, già documentata in una mappa del catasto Boncompagni del 1780 che ne indica anche la proprietà: “n. 41, casa con corte ed orto spettante al sig.re Giuseppe Piella, cittadino (bolognese) abitante sotto la parrocchia di S. Nicolò degli Alberi”.
L’intervento consistette nell’aggiunta della quarta arcata di portico verso est e di un’ulteriore porzione sul retro, nonché nell’ampliamento delle piccole finestre cinquecentesche; il complesso acquisì infine l’aspetto tipico del palazzetto signorile con la creazione di un salone e la riorganizzazione delle sale al piano nobile, raggiungibile per mezzo di un elegante scaloncino.
Nel 1806 l’edificio fu acquistato dall’arciprete monsignor Luigi Sanmarchi che, con testamento del 1820, lo lasciò in eredità ai parroci suoi successori con le funzioni di canonica della chiesa di Santa Maria. I Piella mantennero comunque una residenza a Castelfranco, lungo l’odierna via omonima, in quello che per tutto il XIX secolo fu appunto indicato come Casino Piella.
Un’incisione del 1849, opera di Enrico Corty, ci mostra lo stabile già nello stato attuale in quanto anche la celebre ringhiera, da cui l’imperatore Carlo V si sarebbe affacciato, era stata rimossa fin dall’inizio del secolo.
Una mappa del catasto napoleonico del 1810 mostra invece con dovizia di particolari il giardino all’italiana ricavato nell’area retrostante il palazzo: ideato e realizzato per volontà della famiglia Piella, comprendeva aiuole di forma geometrica, il pozzo nella parte centrale e un ninfeo dipinto sullo sfondo. È questo l’unico giardino riportato dalla mappa, per cui è da ritenersi fosse il più importante del paese. Fu distrutto all’indomani della seconda guerra mondiale, ma nel 1950 le sue caratteristiche furono riportate nella creazione del giardino pubblico dell’abitato su di un’area delle antiche fosse castellane.
All’interno del palazzo non mancavano le strutture di servizio indispensabili, prime fra tutte le scuderie, ora ristrutturate per essere adibite ad ambienti di svago per i ragazzi della parrocchia.